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A Royal Weekend - Recensione

10/01/2013 | Recensioni |
A Royal Weekend - Recensione

Un Presidente e un Re, un “weekend reale”, ma non solo. Una storia d’amore e di potere.
A Royal Weekend ci riporta a fatti storici importanti e lo fa in maniera lieve, intima, quasi confidenziale, a tratti anche ironica.
Nel giugno del 1939 il Presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt (Bill Murray) si prepara ad ospitare il Re Giorgio VI (Samuel West) e sua moglie Elisabetta d’Inghilterra (Olivia Colman) per un weekend presso la residenza della famiglia Roosevelt all’interno della tenuta di “Hyde Park on Hudson” a nord dello Stato di New York. L’evento è importantissimo perché si tratta della prima visita di un Re britannico negli Stati Uniti. Inoltre il momento storico è cruciale: la Gran Bretagna sta per affrontare l’entrata in guerra contro la Germania nazista e i reali hanno assolutamente bisogno dell’appoggio degli Stati Uniti. Gli interessi internazionali si mescolano con la situazione domestica di Roosevelt: sua moglie Eleanor (Olivia Williams), sua madre Sara (Elizabeth Wilson) e la segretaria Missy (Elizabeth Marvel) hanno tutte un ruolo importante nel rendere il weekend dei reali un evento riuscito. La vicenda è narrata attraverso gli occhi di Daisy (Laura Linney), amica intima del Presidente nonché sua lontana cugina. Questo weekend sarà l’inizio di una speciale amicizia fra le due nazioni e allo stesso tempo porterà Daisy ad approfondire la sua intima relazione con il carismatico Presidente Roosevelt.   
Pubblico e privato, dimensione storica e dimensione domestica, il film si muove in equilibrio delicato su questi due mondi. A Royal Weekend racconta due storie, una dentro l’altra: la relazione speciale del Presidente Roosevelt con Daisy Suckley, sua cugina di quinto grado e amica intima, e i turbamenti di Re Giorgio VI, noto come Bertie (il “Re balbuziente” del pluripremiato Il discorso del Re di Tom Hooper con un Colin Firth incoronato con l’Oscar), che, in un momento delicato per il suo Paese, deve imparare ad affrontare le proprie debolezze. In effetti tutto il film si muove su un tema bifronte: la scoperta da parte di una donna di tante verità su un uomo (prima che un Presidente) che ama segretamente e la necessità per un Re di essere all’altezza della sua immagine pubblica. 
Due diverse facce del potere, un Presidente forte, talvolta scomodo ma dotato di grande carisma e un Re pieno di insicurezze ma al momento giusto forte e deciso. Due uomini diversi ma simili, due uomini affetti da handicap (Roosevelt era costretto dalla polio su una sedia a rotelle) ma dalla grande statura morale. Due leader diversi e in qualche modo complementari che dialogano per il bene comune di due grandi nazioni.
Una relazione speciale nata grazie a un picnic a base di… hot-dog. Si, perché fu proprio il “morso reale” a un panino, in una delle scene più riuscite del film, che fece cadere le diffidenze americane verso i reali inglesi e gettò le basi di un dialogo essenziale per i destini del mondo occidentale. 
Interessante la nascita dello spunto del film. Alla fine degli anni ’80 lo sceneggiatore Richard Nelson visitò la residenza della famiglia Suckley sull’Hudson River, dove ebbe modo di incontrare l’anziana Daisy che morirà nel 1991 all’età di cento anni lasciando in eredità una piccola valigia contenente il carteggio intimo e i suoi diari, testimoni della sua relazione con Franklin Delano Roosevelt. Su questi documenti, anzi su una preziosa pagina che parla della visita reale e del famoso “picnic dell’hot-dog”, nacque l’idea di A Royal Weekend.
Gran parte dei meriti del film vanno a un gruppo di attori in stato di grazia. Su tutti, Bill Murray che, nei panni del Presidente Roosevelt, offre una delle migliori prove della sua carriera e Laura Linney che incarna una perfetta Daisy Suckley.
Il poliedrico regista Roger Michell (fra i suoi successi Nothing Hill), coadiuvato da una sceneggiatura ben oliata di Richard Nelson, firma una pellicola interessante, raffinata e piacevole che si fa apprezzare “sulla lunga distanza” trovando un difficile equilibro di toni e registri. Un film per certi versi attuale nella sua riflessione sul potere e sulla fusione di dimensione pubblica e privata, che ha il merito di riuscire a mostrare le “persone” prima dei “personaggi” storici, mettendo in primo piano la verità e profondità dei sentimenti di una “piccola” donna che per anni visse dietro a un “grande” uomo osservando il mondo attraverso il suo sguardo innocente e pulito.

Elena Bartoni
 

 


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